Studio da sempre i processi del divenire.
Considerando l’esistenza come la sintesi di infinite connessioni di eventi e continui futuri potenziali, ho progressivamente abbandonato la tela bianca verso supporti con un vissuto.
Cucendo, scucendo, tagliando e collegando le trame di tessuti di diverse provenienze, mi sono resa conto di quanto quel processo raccontasse quello che siamo.
Ripartendo da queste intuizioni, ho trasformato le pareti del mio studio in una gigantesca mappa concettuale da cui estrapolare tutte le parole chiave e le connessioni che, a partire dall’infanzia, alimentavano la mia ricerca.
Tutto il mio racconto era su quelle pareti: tra le parole cercavo concetti da fissare con dei “punti” e collegare con delle “linee”.
Quello che cercavo mi è apparso all’improvviso nel processo della ricerca stessa.
E’ così che il punto del cucito, che buca e si immerge nella materia collegandola e trasformandola, ha assunto per me una nuova rilevanza e si è tradotto in parole e frasi in “punto-linea” dell’alfabeto Morse.
Nel movimento dell’ago e del filo e del messaggio codificato ho visto una possibilità per l’opera di proseguire oltre i suoi confini materiali.